Negli ultimi 30 anni il mondo del turismo si è evoluto a velocità supersonica, vedendo un passaggio dalle vacanze tutto incluso in villaggi turistici o crociere in favore dell’eco-turismo, la sostenibilità e il turismo responsabile.

Abbiamo assistito ad un graduale spostamento di attenzione dalla destinazione alla motivazione di viaggio.

Negli ultimi anni infatti l’attenzione si è spostata sul turismo esperienziale in cui il fulcro è appunto l’esperienza che il viaggiatore può fare in viaggio, ovvero incontrare gente del luogo, assaggiare pietanze tipiche, immergersi nelle tradizioni e anche prendere parte attiva in laboratori e attività. Si è passati così da un ruolo passivo di fare turismo ad uno attivo in cui il viaggiatore è il vero protagonista.
Ma c’è un trend che si è affacciato negli ultimi anni che sposta il focus dall’esperienza alla trasformazione. Sto parlando del turismo trasformativo.

Personalmente sono venuta a contatto con questo nuovo concetto nel 2017 attraverso dei corsi formativi organizzati dalla Regione Toscana e tenuti dall’associazione internazionale di turismo avventura Adventure Travel and Trade Association (ATTA).
La mia Regione infatti è stata pioniera nel lanciare un progetto di due anni intitolato Tuscany Adventure Times col quale ha puntato alla promozione delle attività outdoor e dei territori meno conosciuti con l’intento di destagionalizzare e decongestionare le città d’arte.

Grazie al mio lavoro ho avuto la fortuna di partecipare al Summit Mondiale del Turismo Avventura che si è tenuto a Montecatini in ottobre 2018, occupandomi dello sviluppo di prodotti turistici avventura nel nord della Toscana (puoi scoprire di più nel mio articolo Le 5 migliori avventure in Toscana).

Innanzitutto, non si deve pensare che “avventura” implichi necessariamente attività adrenaliniche come arrampicata o bungee jumping. Il concetto di “avventura” è molto più ampio e si riferisce a tutto ciò che è fuori dall’ordinario per il viaggiatore, a quelle esperienze che lo spingono fuori dalla propria zona di comfort, perciò può includere anche “mini” avventure.
Ovviamente le attività outdoor vanno per la maggiore, ma non sono escluse anche visite a villaggi storici, laboratori di artigianato, esperienze di vita campestre, insomma tutto ciò che potenzialmente può apportare un cambiamento nella persona che le vive.
Il cambiamento sostanziale infatti tra il turismo esperienziale e il turismo trasformativo è che nel primo l’attenzione è tutta rivolta al momento del viaggio, mentre nel secondo è su quello che accade al rientro.

Il viaggio infatti non si conclude in meta, ma continua una volta tornati a casa, perché quello che si è vissuto ha operato in noi una trasformazione che modifica il nostro modo di vedere, di sentirci e di comportarci nel quotidiano.

valle della muerte chile

Le radici del turismo trasformativo

Si parla per la prima volta di turismo trasformativo nel 2016 al Adventure Travel World Summit in Alaska, dove nasce il Transformational Travel Council (TTC), “un’organizzazione che supporta sia i viaggiatori che gli operatori del settore turistico nel trasformare la vita di chi viaggia e nel cambiare il mondo grazie ad esperienze di viaggio più consapevoli e rispettose”.

Nascono così viaggi che incoraggiano a diventare parte attiva del cambiamento, sia esso inteso come azioni verso il luogo e le comunità che si visitano, oppure rivolte all’introspezione.

Secondo il magazine di economia e finanza Forbes nel suo articolo del 2018 “Understanding The Natural Pull Of Transformative Travel Marketing”  “Tutti cerchiamo momenti di trasformazione che ci facciano avvicinare alla persona che vorremmo essere”.
Come risultato anche le destinazioni vengono scelte in base alle “comunità che offrono l’opportunità di costruire relazioni autentiche con i propri visitatori in grado di trasformare la vita di entrambi”.

Benoît-Etienne Domenget, CEO di Sommet Education (rete di istituzioni del management alberghiero) aveva individuato tra i cinque trend che avrebbero influenzato il settore turistico nel 2018 proprio il turismo trasformativo:

Il viaggio trasformativo è la naturale evoluzione del viaggio esperienziale. I viaggiatori trasformativi vogliono fare di più che sperimentare una destinazione: mirano a testare una parte diversa di se stessi. L’autoriflessione, l’apprendimento e lo sviluppo personale possono far parte di questo viaggio interiore.”

Nonostante questo panorama internazionale in fermento, sento che in Italia ancora questo concetto non sia così conosciuto. Si usa forse maggiormente il termine “consapevole”, che in fondo un po’ racchiude anche il concetto di trasformazione, come descritto da Luca Vivan nel suo blogEsiste l’ecoturismo, il turismo responsabile, quello religioso e quello sportivo, d’avventura o di lusso ed esiste un modo di viaggiare che trascende tutti questi e che forse non ha mai avuto un nome preciso, anche se viene praticato da sempre, quello consapevole. È il viaggio di chi cerca nella strada un cambiamento di sé, attraverso un incontro, un’esperienza o una parola.

Vi è invece chi, come Gianluca Gotto, nel viaggio ha trovato le coordinate della felicità, trasformando la propria vita e diventando fonte di ispirazione per tanti altri che vivono una quotidianità che gli sta stretta. Nel suo blog Mangia Vivi Viaggia Gianluca racconta “Ho conosciuto molti viaggiatori e viaggiatrici consapevoli, che cercano di dare un senso a ogni loro viaggio. Un senso che vada “oltre” alla superficie delle cose di questo mondo e sfoci in qualcosa di più grande.”

Per me il senso del viaggio è proprio questo. È tornare a casa con un po’ di preconcetti in meno e un po’ di consapevolezza in più, pronta a modificare le mie abitudini e applicare quello che ho imparato da un’altra cultura ma anche modificare la mia vita se ce n’è bisogno, perché il viaggio ci aiuta anche a conoscerci ed ascoltare i nostri desideri più profondi.

In questo articolo racconto di come un viaggio a piedi abbia cambiato la mia vita.
Mentre qui trovi l’esperienza di Matteo, a cui ha dedicato anche il suo terzo libro “In cammino verso casa”.

Simona